di ELEONORA GARGIULO
Presentato a Cannes, è nelle sale italiane dal 21 maggio. L'ultimo film di Sorrentino è ambientato a Roma. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura […] Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile.
Fenicotteri rosa sul tramonto di una terrazza vista Colosseo. “Cercavo la Grande Bellezza e non l’ho trovata” dice Jep (Toni Servillo), re dei mondani, della Roma altolocata e scrittore di un unico romanzo di successo. Si stordisce nei blablabla e si rinfranca col soffitto della sua camera, dove vede il mare della sua giovinezza e il faro che lo fece scrittore. A 65 anni ha capito di non voler perder tempo in cose che non ha voglia di fare, e il tutto e il niente si mescolano, invadono Roma e sono immagine dell’Italia.
Per l’intero film Jep ci porta in giro per Roma a piedi, la guarda sempre in
orizzontale e anche se vive ai piani più alti della sua società, da quell’altezza non alza lo sguardo sopra di lei, non guarda mai il cielo di Roma.
Non perché crede di essere arrivato più in alto ma perché intuisce di dover cercare da un’altra parte.
Vorrebbe scrivere un secondo romanzo, a giorni si aggira nella rozzezza, nel cuore del cafonal romano e in altri giorni si lascia incuriosire dal nitore delle suore-sante.
Roma è sullo sfondo, è in primo piano, ripresa nei suoi angoli più noti con sguardo inedito, Roma è nel tempo di una passeggiata all’alba cadenzata dallo scorrere del Tevere dentro di lei, Roma è sbirciata da sotto i ponti, come strati di sottane, Roma ti fiancheggia coi suoi muraglioni; Roma è soprattutto metafora.
Di tutte le occasioni perdute, quelle minuscole imperfette intuizioni di bellezza che fanno tornare la voglia di scrivere.