Storytelling di Alessandra Flavetta
Testaccio più che un rione di Roma è un museo diffuso o un ecomuseo cioè un territorio caratterizzato da ambienti di vita tradizionali, da un patrimonio naturalistico e storico-artistico particolarmente rilevante e degno di tutela, restauro e valorizzazione. I musei diffusi sono promossi per mezzo di percorsi predisposti (ci sono cartelli della storia di Testaccio disseminati in tutto il quartiere) di attività didattiche e di ricerca che si avvalgono del coinvolgimento in prima persona della comunità che abita lo spazio per la valorizzazione e la riappropriazione del proprio patrimonio culturale da parte della collettività.
Si propongono come "oggetti del museo" non solo gli oggetti della vita quotidiana, i manufatti,
ma anche i paesaggi, l'architettura, il saper fare, le testimonianze orali della tradizione, gli antichi mestieri per non cancellarne la memoria. Il concetto di musealità diffusa è stato definito
da leggi regionali con l'obiettivo, come teorizzato da Fred Drugman, di far riscoprire al territorio la propria identità attraverso un distretto culturale, ovvero una rete di musei, esposizione e
luoghi di interesse storico-artistico sparsi per il territorio d'interesse.
Attraversare Testaccio è un viaggio che abbraccia tutte le epoche, dalla Roma imperiale fino ai palazzi fascisti e alle testimonianze di archeologia industriale (Gazometro).
Dal 753 a.C. anno della leggendaria fondazione ad oggi, Roma è stata città di potere, politico o religioso.
Capitale del Regno d'Italia e poi della Repubblica, non fu mai municipio nel senso di quella autonomia di governo cittadino che fu dei Comuni italiani. Città governata dall'alto, quindi, prima dagli imperatori poi dai pontefici (e anche dal Duce, che fece un piano di riforma urbanistica globale, nell'ottica della romanità, distruggendo interi quartieri, nota come politica dello sventramento) e ogni bonifica, ogni intervento strutturale, ogni nuova arteria viaria era più un monumento che celebrasse la memoria dei potenti piuttosto che un intervento che fosse funzionale alla città e ai suoi abitanti. Essendo il centro della centro della cristianità, la nuova Gerusalemme è sempre stata una città da visitare: prima dai pellegrini, per i quali Sisto V (Felice Peretti 1585-90) fece collegare con agevoli vie le grandi Basiliche, poi da una stretta cerchia di intellettuali ed artisti, perché l'Italia e le sue corti erano di gran moda e l'italiano era la lingua di cultura, oggi dai turisti.
Il programma urbanistico di Leone X e di Clemente VII, i due pontefici di casa Medici, trasferiscono a Roma un modello sperimentato nella Firenze tardo medievale: il tridente romano, formato dalla centrale via del Corso e le laterali via di Ripetta e via del Babuino è il primo e più imitato esempio rinascimentale. Da Sisto V, che si avvalse di Domenico Fontana come tecnico, fu quasi istituzionalizzato il concetto che Roma è una città per essere visitata, una città scenografica, piena di fughe, prospettive e obelischi, senza un unico centro geometrico (lo creerà il fascismo: piazza Venezia) ma tanti punti di interesse. Se per Fontana il tema dominante è la via, con Bernini nel pieno 600, diventa la piazza, piazza San Pietro, piazza Navona, piazza del Pantheon....