Il Quartiere Coppedè, così ribattezzato dal suo stesso progettista Gino Coppedè, vede la luce nel primo Novecento. Eppure è estremamente distante dall’architettura razionalista dell’ “arte fascista” (un esplicativo esempio del razionalismo italiano di quel periodo è il Palazzo delle Poste a Roma), imponendosi subito nell’urbanistica della Roma del Novecento come un’opera dal forte carattere unitario.
Non c’è nulla di più anacronistico, già nel momento stesso della sua nascita, delle linee mosse e tormentate e del forte impatto della decorazione architettonica impresso agli edifici. La vocazione artistica di questo “architetto decoratore” farebbe pensare a una espressione dello stile Liberty italiano, ma vi sono numerosi punti oscuri nella rilettura in chiave stilistica del Quartiere.
L’esigenza di un nuovo complesso di abitazioni di raccordo tra i Parioli e i nascenti quartieri in zona Trieste-Salario ha fatto ricadere la scelta intorno al 1915 sul fiorentino Gino Coppedè che era già famoso per le sue opere a Genova. L’architetto deve fare i conti con una capitale che non era per nulla simile a quelle europee in cui fioriva il Liberty, ma con una antiquata città, la Roma dei Papi. L’edilizia pubblica andava alla ricerca del “massiccio” e aveva una certa attitudine alla scenografia, acuitasi in periodo fascista; in molti casi il tentativo di impressionare il cittadino con una magniloquente consistenza dei volumi sorpassava l’equilibrio formale della struttura. Indubbiamente Gino Coppedè è stato aiutato a slegarsi dal gusto predominante dell’epoca grazie allo scopo delle abitazioni per cui era stato assunto: si trattava di edilizia privata per il ceto borghese. Roma infatti era in piena espansione e proprio per porre un freno ad un’urbanizzazione selvaggia pochi anni prima era stato emanato il piano regolatore di Roma del 1909, sotto il quale si trova a lavorare anche Gino Coppedè.
Queste due premesse fondamentali sembrano spianare la strada al Liberty in Roma, ma non sono sufficienti però a dare una connotazione “floreale” alla città di Roma né tantomeno a rendere la vita facile a Gino Coppedè: nella capitale con le sue stratificazioni millenarie di svariate epoche ogni nuova inserzione nel tessuto urbano doveva sottostare alla tacita regola dell’omogeneità e dell’integrazione, cosa impossibile o estremamente difficile se consideriamo che il Liberty nasce esattamente come rottura di ogni legame con il passato. A parte i rari tentativi “trapiantati” di architetti stranieri, questo stile non ebbe mai il patrocinio dell’ufficialità né prima né dopo il Regime, che meglio esprimeva la sua essenza attraverso il razionalismo dell’architettura fascista.
La maestria e l’esperienza di architetti come Coppedè hanno dunque dato voce a una tendenza artistica europea contemperata con il passato e le radici della tradizione italica, facendone risultare uno stile autonomo. Gino Coppedè è l’unico architetto del Novecento italiano ad aver legato il proprio nome a un quartiere e non solo per l’evidente unitarietà del complesso: fondamentale è la sua impronta personale a rendere questa opera “originale” nel suo senso stilistico e più intimamente artistico.